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 DANTE DI-VINO

IV PUNTATA

BEATRICE


E’ giunto il momento di spendere due parole su Beatrice, colei che è alla base della produzione lirica amorosa di Dante, colei che è causa dei malanni, non solo del Sommo Poeta, ma anche degli studenti di tutto l’universo, colei che è epicentro del mondo dantesco, l’unica e sola Bice Portinari, figlia di Folco di Ricovero Portinari e di Cilia di Gherardo Caponsacchi, nata a Firenze nell’aprile 1266.

La sempre cara Beatrice apparteneva ad una importante famiglia mercantile legata ai Cerchi, a capo dei guelfi bianchi ed era sposata con Simone de’ Bardi, al quale il signor Portinari lasciò in dote solo 50 lire di fiorini, invece per le altre figlie 800 lire ciascuna. Non conosciamo i motivi di tale discriminazione, ma senza ombra di dubbio, qualcosa sotto doveva esserci, a meno che il caro papino non avesse sperperato tutti i suoi averi e fosse rimasto con sole 50 lire.

La povera Beatrice morì il 19 giugno 1290, quindi relativamente giovane. Si ricordi che, nel 1200, secondo le parole di Dante, la metà della vita era 35 anni, quindi, a onor del vero, bisogna ammettere che la cara Bice non era proprio una ragazzina.  I dati concreti riguardo la donna amata dal poeta e la sua identificazione con la figlia di Folco Portinari si basano su tre scarne testimonianze: una risale al 1334 ed è costituita da un commento alla Commedia di Graziolo de’ Bambaglioli; una risale a Boccaccio che scrisse la “Vita di Dante “ in cui ricorda il primo incontro tra il poeta e Beatrice a casa del padre di lei, la terza testimonianza è del figlio di Dante, Pietro, autore di un commento alla Commedia: «poiché si nomina qui per la prima volta Beatrice, della quale si parla tanto, soprattutto nella cantica del Paradiso, bisogna premettere che una donna chiamata Beatrice, appartenente al casato dei Portinari, e insigne per costumi e bellezza, visse a Firenze al tempo di Dante, e di lei il Poeta fu innamorato in vita (celebrandola con molte liriche), e alla sua morte ne innalzò il nome alle stelle facendone nel suo poema l’allegoria della teologia».

La cara Beatrice è oggetto o soggetto, certamente dipende dai punti di vista, della lirica dantesca. Non dimentichiamo che il Sommo Poeta scrive la Vita Nova, un “libello” in cui in pratica parla solo dell’amata riprendendo i motivi canonici della lode: gli effetti del suo saluto, il potere beatificante della donna, la nobiltà, la bontà, l’onestà. Il ritratto di Bice viene, poi, ovviamente sublimato nella Divina Commedia in cui la donna rappresenta la teologia e la fede, ma, allo stesso tempo, è l’amica del poeta che si è mossa per aiutarlo quando si è trovato in difficoltà nella selva oscura, nonché la donna amata che, in vita era capace di avviare nell’uomo un processo di nobilitazione morale ed elevazione spirituale e, dopo la morte, non perde, anzi aumenta questo “potere”. Diviene, infatti, sole nascente circondata da fiori e quando il poeta la vede si sente sempre venir meno. Carino Dante, sempre lì a svenire, a piangere e ad arrossire!

Quindi, abbiamo specificato che la cara Bice è amore, fede, sole, insomma è tutto lei, ma, indagando leggermente, la donna si dimostra pure un po’ stronza: voglio dire, quel poveretto di Dante si è calato nelle fauci degli inferi, si è inerpicato sulla montagna del Purgatorio, ha superato insidie, perigli, lacrime, affanni, svenimenti e, quando incontra il suo “sole”, subisce anche un cazziatone colossale.

In effetti appare essenziale agli occhi di Beatrice esacerbarsi per motivi davvero per nulla futili: perché, dopo la sua morte, il poeta si è permesso di avere pensieri, più che puri sia chiaro, su un’altra donna e, non contento, ha osato mettere piede in Paradiso? Prima della morte? Intollerabile!

Ora, io non voglio polemizzare, ma davvero, davvero non è sopportabile, a me “tanto gentile e tanto onesta” non mi pare proprio. Un po’ come quando non ti piace un ragazzo, ti accerti, però, di piacere a lui, gli dici che vuoi essere solo un’amica, anzi meglio una conoscente perché “non sei tu, sono io” e poi fai una scenata se lo vedi con un’altra nel tuo pub preferito. Mi sembra più che giusto!

La cara Bice, ricordiamolo, è atta a tali comportamenti: quando Dante, per evitare, giustamente, che il suo amore nuocesse alla donna, finge di amare la cosiddetta donna schermo, Beatrice gli toglie il saluto, che era, per lui fonte di felicità. Io sono allibita: essere innamorati è come quando sei una bambina al supermercato, ti perdi, sei triste e spaventata, poi vedi tua madre da lontano, sei felice, piena di speranza, corri verso di lei, ti aggrappi alla sua gamba, guardi in alto e ops, scopri che non è tua madre. È più o meno così che ci si sente: pensi di conoscere qualcuno, ma, in realtà, è uno sconosciuto!

Ma Dante non vede nulla di tutto ciò, ha due chili di jamón serrano sugli occhi, è innamorato a tal punto che, quando sogna la donna sua, lei mangia il suo cuore che arde e, per essere proprio sicuri, che il poeta abbia capito bene chi è che comanda, la personificazione dell’amore lo esorta a guardare la scena “Vede cor tuum”.

Non dimentichiamo, però che Dante, che rimane un genio, non in amore, sia chiaro, ma pur sempre un genio, proprio grazie a Beatrice e alla sua ossessione per lei, rivoluziona la letteratura contemporanea. La donna angelo descritta dal poeta diventa protagonista di una nuova corrente, lo stil novo che descrive una donna non più terrena, simile ad un angelo, ma creatura ultraterrena, un vero e proprio angelo “sceso dal cielo a miracol mostrare” della quale si cantano la dolcezza dello sguardo, la bellezza del volto, la grazia, la modestia. Io avrei da dissentire e, credetemi, potrei sproloquiare per ore, ma temo che sarebbe divertente quanto leggere un atto legale, nemmeno ci avessero messo il cloroformio, quindi, poiché tengo davvero alla sanità mentale di tutti e, ancora di più alla salute delle vostre endorfine, mi fermo qui….per ora! Prego!




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