Recensione/Mini Guida al "Canzoniere" di Francesco Petrarca
Libro: Francisci Petrarche laureati poete Rerum Vulgarium Fragmenta
Autore: Francesco Petrarca
Prima pubblicazione: 1336 ca
Copertina Flessibile: 1269 pagine
Se non lo avete a casa potete trovarlo qui
Giacché
ho appena finito di leggere un romanzo in cui viene citato il Canzoniere di Francesco Petrarca, per
conoscenza il libro è “Innamorarsi a colazione” di Milena Zucchetti,
bellissimo, sappiatelo, la mia mente perversa ha preso l’insana decisione di rivedere
l’opera del grande autore trecentesco, ragion per cui vi sto propinando questa
bella mini guida barra recensione. Dite la verità, state ringraziando Milena
Zucchetti per avermi messo in testa il Rerum
vulgarium fragmenta??? Vi prometto che cercherò di essere meno tediosa
possibile, ma ormai le jeux sont faits
quindi accomodatevi, mettetevi l’anima in pace e fatemi compagnia!
Stavamo
parlando di Petrarca: è scontato dire, ma io lo dico ugualmente, che Francesco
può essere considerato figlio/successore/semi-emulatore
del Sommo Poeta, Dante Alighieri. E si perché Dantuccio ha scritto La vita Nova, in cui narrava la storia
del suo amore per la cara Bice Portinari, Franceschino ha scopiazzato l’idea
del suo predecessore ed ha ritenuto giusto scrivere il Canzoniere, in cui narra l’itinerario del suo amore per Laura. Innanzitutto
è bene precisare che la donna in questione è probabilmente un bel fantasma
letterario inventato dal poeta. Alcuni studiosi ritengono che la bella Lauretta
non sia mai esistita e la identificano con la laurea da cui Petrarca era
praticamente ossessionato, altri ritengono sia Laura De Noves, sposata ad un De
Sade (del quale non sappiamo assolutamente nulla, né ce ne frega assolutamente
nulla, ma adoro questo cognome, per cui ve lo sto propinando!). Il Canzoniere è sicuramente meno lungo e
meno fastidioso rispetto ad altre importanti opere del passato, anche se
contiene una cosa come 366 componimenti, circa una per ogni giorno dell’anno.
Ma che carino vero? Tutto cuore e amore il nostro poeta! Ringraziamo il secondo
stalker della storia della letteratura per averci rifilato un quantitativo
estenuante di rime d’amore che gli studenti devono (o dovrebbero) conoscere. È d’uopo ammettere che, almeno dal mio punto
di vista, sul podio degli stalker, in pole position, resiste e persiste Dante,
Petrarca comunque c’è andato abbastanza vicino. Infatti, come il sommo poeta, ha
preferito vivere di un amore ossessivo- compulsivo assolutamente non
corrisposto (anche se in un componimento dice che, in realtà, Laura lo amava, ma non ne sono convinta e
secondo me non ne era davvero persuaso nemmeno lui!), piuttosto che fare
baldoria con gli amici oppure restare a pregare in chiesa tenuto conto dei voti
presi. Ebbene sì, amici, il nostro poeta era un monaco, precisamente cappellano
presso la potente famiglia dei Colonna, ma si faceva comunque gli affari suoi
viaggiando in tutta Europa. Franceschino, piccolo, soffriva di disturbi
ossessivo- compulsivi: aveva una considerevole psicosi per i sette peccati
capitali, la fortuna, i fantasmi, la virtù, Laura e la gloria. Per sua fortuna
almeno una di queste idee coatte è riuscita a realizzarla, la gloria intendo;
nel 1341 viene, finalmente, incoronato poeta e può concentrarsi sulle altre
ossessioni. Bisogna considerare un altro aspetto fondamentale: il portento in
questione lasciava quasi tutte le sue opere incompiute. Aveva la pessima
abitudine di ritornare sui testi tantissime volte, modificarli, rimescolarli,
rivoluzionarli, tanto che gran parte della sua produzione risulta ricca di
lacune. Pensate che il Canzoniere è stato concepito (probabilmente con
l’aiutante Giovanni Malpaghini, che era a dir poco lungimirante) come libro
destinato alla pubblicazione proprio per evitare i continui rimaneggiamenti e
soprattutto la dispersione di copie che il poeta regalava a giullari ed
ammiratori. Alla fine, si deve dire, il povero Malpaghini non ha avuto proprio
la meglio su Francesco perché gli studiosi hanno trovato ben nove fasi di
elaborazioni dell’opera che non vi sto ad elencare. Prego! Passiamo al titolo,
che è la parte che preferisco di quest’opera. Sappiate che il titolo dell’opera
è Francisci Petrarche laureati poete Rerum Vulgarium Fragmenta (Frammenti
di cose volgari di Francesco Petrarca poeta laureato, mi sembra giusto
vantarsi dell’incoronazione poetica. A voi no?) e non Canzoniere. Lo so,
è assurdo anche solo da pensare, figurarsi da pronunciare, perciò è più
comunemente conosciuto con altri nomi. Ma analizziamo, poco poco lo giuro, il
titolo originale. Perché è così lungo e irripetibile? Per prima cosa è necessario
sapere che Franceschino non ha concepito l’opera come un vero e proprio
racconto, il Canzoniere nasce, al contrario, da un’ossessiva (che
novità!) ricostruzione dei frammenti dell’anima che dovevano essere messi
insieme. Per carità la letteratura ci ha omaggiato con grandi scrittori, ma
vuoi mettere che questo è andato a cercare i frammenti dell’anima, non ho idea
di dove li abbia trovati di preciso, li ha trascritti, elaborati e poi li ha
raccolti in un testo unico? Calcio Champagne ragazzi! I componimenti contenuti
all’interno del libro sono stati scritti durante tutta la vita e poi riuniti a
formare un organismo compatto. Addentriamoci, ma non troppo lo giuro,
nell’opera. Il pubblico cui si rivolge è quello dei cosiddetti intendenti d’amore per cui se c’è
qualcuno tra voi che non fa parte della summenzionata categoria è pregato di
andare oltre.
Il componimento,
a grandi linee è divisa in due parti: i componimenti in vita di Laura e quelli
in morte con sonetti di anniversario sparsi all’interno dell’opera che cessano
bruscamente al trapasso della donna. Nel proemio il poeta invita coloro che
ascoltano “in rime sparse il suono di
quei sospiri ond’io nudriva ‘l core” a seguirlo dal “primo giovanile errore” cioè dall’amore per Laura, un amore fatto
di “vane speranze e vano dolore” fino
alla vergogna per questo amore. Povero sfigato! Innamorato di una donna che
forse esiste, forse no e che non lo considera nemmeno per sbaglio! Avrebbe quantomeno
potuto inventare, nel caso in cui Laura fosse stata un fantasma letterario, una
storia d’amore corrisposto. Sono scioccata: quando io, al calduccio nel letto
prima di addormentarmi, penso a Jake Gyllenhaall e proietto i miei bei film
mentali con titoli di testa, titoli di coda e colonne sonore annesse, mica immagino
che quel figo di Jake non mi calcoli proprio? Proprio no! Prima che finiscano i
titoli di testa, sto già pensando a quale abito da sposa indossare! Petrarca,
al contrario, ci descrive un amore non troppo corrisposto! Il poeta incontra
Laura il 6 aprile 1327, Venerdì Santo, ovviamente (ricordiamo che Franceschino
era un monaco). Dopo questa fatidica data i due conducono vite separate, ma il
povero innamorato non fa altro che pensare alla bella ragazza che ha
incontrato. Per lei prova un sentimento ardente, dal canto suo Lauretta,
invece, sente ritrosia e rifiuto. Cattiva!
“Quando fra l’altre donne ad ora ad ora amor
vien nel bel viso di costei, quanto ciascuna è men bella di lei tanto cresce ‘l
desiderio che m’innamora” scrive il poeta in un sonetto. Ma come si fa a
non adorare quest’uomo che non solo è innamorato con tanto di costolette di
maiale sugli occhi, ma fa anche impennare la tua autostima fino alla luna! Laura
non ho parole per la tua reticenza! Io tifo Petrarca!
Procediamo
fino al sonetto che il poeta scrive per il fratello Gherardo che aveva perso la
donna amata (la sfiga di questi ragazzi è agghiacciante!) ed era diventato
monaco certosino. Cito questa rima perché in essa si nota la disparità tra
l’ascesa spirituale del fratello e l’attaccamento di Petrarca ai beni
materiali. Il poeta scrive infatti “Tempo
è da ricovrare ambo le chiavi del tuo cor, ch’ella possedeva in vita, e seguir
lei per via dritta espedita: peso terren non sia più che t’aggravi/poi che se’
sgombro de la maggior salma”, cioè dal peso dell’amore, quindi il fratello non
è più gravato dall’amore, fortunato lui: la donna che amava è morta, mentre Francesco
deve reggere tale fardello. Mannaggia!
Dopo
la suddetta digressione, Petrarca si ritrova a dover affrontare un periodo di
smarrimento poiché non vede più la sua Lauretta e decide di chiedere ad altre
donne che fine abbia fatto l’amata, seguendo la tradizione stilnovistica dei testi
rivolti alle amiche della prediletta in cui si chiedono notizie riguardo la sua
assenza: “Liete e pensose, accompagnate e
sole, donne che ragionando ite per via, ove è la vita, ove è la morte mia?” chiede
Petrarca. La risposta non tarda ad arrivare: alla bella Lauretta è stato proibito
di uscire da “invidia e gelosia” forse
del marito, nemmeno fosse Naomi Campbell! Il poeta entra in crisi. Invece di
andare alle feste di paese con gli amici, si ritrova in preda ad una crollo
psichico “carità di signore, amor di
donna/son le catene ove con molti affanni/ legato son, perch’io stesso mi
strinsi”, praticamente ha fatto tutto da solo: ha preso queste catene, si è
avvolto ed ora si lamenta. Non gli sta bene proprio nulla! Preciso che con il
termine signore si riferisce al cardinale Giovanni Colonna con il quale si
scusa perché è costretto a ritardare il suo ritorno in Provenza. L’altra catena
è ovviamente Laura, per carità non dimentichiamoci di lei!
Questo
è l’ultimo sonetto in vita della donna, infatti poi la poveraccia muore,
ovviamente il 6 aprile 1348 a causa della peste nera. Ora dobbiamo deviare un
pochino il discorso sul perno numerologico del testo. Sappiate che Petrarca non
si è fatto scappare l’opportunità di scopiazzare questa idea tanto carina e ha
ripreso da Dante il numero cardine che, nella Divina Commedia, era il 9.
Il cosiddetto numero sacro dell’opera
è il 6, of course, ed è legato innanzitutto al giorno in cui ha conosciuto la
bella Lauretta, il 6 Aprile 1327 e al giorno della morte della donna, il 6
Aprile 1348, inoltre la stessa Laura è il numero 6 come le lettere che compongono
il suo nome in latino Laurea (guarda che fortuna!), il 6 è anche il giorno
della morte di Cristo e compare nel numero di liriche due volte, come abbiamo
già accennato infatti, sono 366. Tale cifra è l’altro numero fondamentale
dell’opera: contiene due volte il 6, una volta il 3, la somma dei suoi fattori
è 15 che sommato ancora dà nuovamente 6. Direi che è abbastanza complicato! Il
caro poeta oltre ad essere un talento letterario, era anche un genio in
matematica, ma io no, per cui ora mi fermo altrimenti un ibuprofene non me lo
toglie nessuno!
Ok,
dopo questa piccola devianza, divertente quanto un calcolo renale, continuiamo con
la storia. Il povero Franceschino, dopo la dipartita di Lauretta, sta male ed, in
pratica, chiede all’amata di osservare la sua esistenza oscura che è passata
dalla felicità alla disperazione. Povero, povero Francesco, Bambi ti fa un
baffo, sappilo! Ho le lacrime agli occhi! Ripensa poi all’ultima volta in cui
ha visto la donna il cui sguardo sembrava dire “To’ di me quel che poi, chè mai più qui non mi vedrai”; cioè
Lauretta, nemmeno fosse l’Oracolo di Delfi, ha predetto la sua stessa morte e
ha detto a Francesco di guardarla per l’ultima volta perché presto sarebbe deceduta
e lui che ha fatto? Non l’ha afferrato. Gli uomini non capiscono mai le parole
non dette delle donne, ma come si fa? Suvvia! Dopo la morte della sua bella, il
poeta, inizia ad avere delle visioni di Laura, ormai ovviamente beata in
Paradiso, ci mancherebbe altro! La particolarità stà nel fatto che Francesco,
poco incline alla santità, dopo queste visioni desidera ricongiungersi a lei.
Francè davvero non lo so se hai qualche possibilità di andare in Paradiso tenendo
conto del tuo attaccamento ai beni terreni e la tua inclinazione verso i peccati
capitali!
Però,
perché c’è un però, il caro poeta che fa? Entra in crisi e si pente. G.E.N.I.O.
Non ho altre parole per descriverlo. Il pentimento! Come abbiamo fatto a non
arrivarci? In un sonetto scrive infatti:“…ch’io
segua la mia fida e cara duce, che mi condusse al mondo, or mi conduce, per
miglior via, a vita senza affanni/ e non mi posson ritener li ‘nganni del
mondo, ch’io li conosco; e tanta luce dentro al mio core infin dal ciel traluce
ch’io ‘ncomincio a contar il tempo e i danni” e mi sembra giusto Francè!
Allora tu conosci i danni che hai fatto nella vita, ma hai deciso che nel tuo
cuore c’è la luce che arriva direttamente dal cielo e quindi Lauretta, ormai
beata, ti deve condurre alla salvezza. Mamma mia quanto sei ingegnoso! Per rendere ancora più suggestivo il suo
pentimento e la sua ritrovata fede, scomoda anche Cristo dal suo scanno celeste
che “sofferse con più grave pena per
farne a seguitar costante e forte”.
Alla
fine il poeta si guarda allo specchio e si vede invecchiato. Grazie Nobel dell’ovvietà,
hai iniziato l’opera 31 anni fa, ci mancherebbe che fossi rimasto un
giovanotto! Non sei Benjamin Button! Si trova, quindi, all’ultima stagione
della vita e, invece di starsene tranquillo davanti al fuoco, si mette a fare
un bilancio degli ultimi trent’uno anni perduti “ardendo e piangendo/in tanto error”. Quindi che fa
l’intelligentone secondo voi? Ripudia il traviamento amoroso: dopo aver scritto
circa 366 rime si affida a Dio invocando la salvezza. Francè se mi facevi
presente tale desiderio di ascensione celeste dal principio ti aiutavo io e non
c’era bisogno che ti mettessi a scrivere tutti questi componimenti che noi,
poveri discenti, dobbiamo studiare! Alla fine indovinate cosa scrive? Non lo
sapete? Pensateci! Vi scrivo l’incipit della Canzone numero 366.
“Vergine
bella che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti sì, che ‘n
te Sua luce ascose, amor mi spinge a dir parole…”
Avete
capito? Ebbene si, scopiazza da Dantuccio l’invocazione alla Vergine (che, per
chi non ne fosse a conoscenza, si trova nel XXXIII Canto del Paradiso). Un
altro a cui piace vincere facile! Punta sul sicuro!
Parliamo
un po’ di Laura, la donna tanto amata dal povero Francesco; la donna che non se
lo è filato nemmeno per sbaglio per tutta la vita; la tizia che, se è esistita,
probabilmente nemmeno dopo la morte, quando se ne stava beata in Paradiso, ha
pensato in qualche modo a lui. Proprio lei signore e signori! Almeno Beatrice
aveva rivolto un saluto a Dante, Lauretta invece niente, imperterrita si è
fatta gli affari suoi. La donna non a caso è legata al mito di Dafne, la
ragazza che, per sfuggire al dio Apollo, era stata tramutata in alloro/lauro,
che guarda caso era considerato il simbolo della grandezza poetica! Mmmm, qui
gatta ci cova!
Francesco
descrive la sua amata come luce accecante che abbaglia e annienta, che attrae e
respinge, consuma e distrugge. Praticamente una sorta di sanguisuga calamitante
e luminescente. A differenza della Beatrice dantesca, che aveva la capacità di
nobilitare l’animo dell’amante e di avvicinarlo a Dio, la povera Lauretta manca
di abilità nobilitanti, anzi allontana l’uomo dal Creatore e lo avvicina ai
beni materiali. C’è da dire che a differenza del sommo poeta, che da signore
quale è non si permette mai di parlare
del corpo di Beatrice, Francesco è un po’ più ardito: parla degli occhi, della bocca,
dei capelli dell’amata, scrive infatti “Dai
più belli occhi, e dal più chiaro viso che mai splendesse, e da più bei
capelli, che facean l’oro e ‘l sol parer men belli, dal più dolce parlare e
dolce riso” e fin qui è tutto abbastanza nella norma, ma andiamo avanti “da le man, da le braccia che conquiso senza
moversi avrian quai più rebelli fur d’Amor mai, da’ più bei piedi snelli….” Insomma
Franceschino che mi combini? Non starai guardandola un po’ troppo!? Non va
bene!
Fin
dall’inizio dell’opera aleggia sulla figura della donna un destino di morte,
nemmeno Francesco fosse un veggente! Alla fine, come abbiamo avuto modo di
costatare, Lauretta tanto carina effettivamente muore e da ossessione deviante
diventa guida alla conversione, infatti viene riformulata stilnovisticamente
come dolce del mio pensier beatrice,
cioè come sapienza che insegna la retta via. Praticamente il poeta la sfrutta
per farsi aprire un varco sulla strada del Paradiso. Io.Lo.Amo. Dopo tutti
questi componimenti scritti per lei direi che il minimo che possa fare sia
aiutarlo nel processo ascensionale. Glielo deve!
Siamo
arrivati alla parte peggiore di tutte (quella che concerne lo stile e la
lingua) lo so, ma prometto di essere breve anche perché preferirei recitare con
mia nonna tutte le litanie in latino che conosce (e credetemi ne sa un numero
infinito) piuttosto che dilungarmi su questo argomento simpatico quanto una
botta del mignolo del piede contro lo spigolo del comò!
Diciamo
solo che utilizza un vasto numero di forme metriche: canzoni, ballate,
madrigali, sonetti, sestine. Ovviamente ricordiamo che stiamo parlando dei
frammenti dell’anima del poeta, non possono mica essere tutti belli composti e
precisi in un’unica forma, suvvia!
Per
quanto riguarda la lingua attinge al così detto fiorentino trascendentale contemporaneo eliminando tutto ciò che
c’è di troppo. Utilizza numerosi latinismi lessicali, grafici, fonetici e
morfologici e gallicismi. Troviamo, poi, il campo paronomastico (per chi non lo
sapesse la paronomasia è una figura retorica che consiste nell’accostare due o
più parole che hanno lo stesso suono, ma diverso significato)
riguardante……vediamo se indovinate??? Ma Laura of course. Troviamo infatti: laura – l’aurea – l’ora – l’aurora – lauro.
E
questo è quanto, non addentriamoci troppo nello stile di Petrarca che farebbe
rabbrividire anche il filologo più paziente.
Questo,
in maniera molto, ma molto concisa è il Canzoniere.
Avrei molto altro da dire, ma oggi mi sento clemente quindi la chiudo qui! Non
c’è di che!
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