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DANTE DI-VINO

II PUNTATA

LA VITA NUOVA

 

La seconda puntata della nostra piccola rubrica dantesca riguarda niente poco di meno che la mia opera preferita, ossia la Vita Nuova. Vorrei davvero, davvero dichiarare la mia predilezione per la Divina Commedia, e per qualche anno è stato davvero così, ma mentirei e, come avrete capito, io e le balle non siamo in sintonia. Dopo aver scoperto la Vita Nuova, avendo seri squilibri concernenti la mia sanità mentale, il mio buon senso, o cattivo dipende dai punti di vista, ha deliberatamente scelto di amare il prosimetro dantesco, non senza motivo, sia chiaro. La sua idea, del mio cervello intendo, è quella di analizzare analiticamente e parallelamente la Vita Nuova e il Canzoniere di Petrarca, grande autore trecentesco che ha scopiazzato qua e là il percorso narrativo del libello dantesco. Lo so, ho seri problemi, me lo dicono tutti! Ora, però, basta parlare di me, per quanto mi piacerebbe sia messo agli atti, passiamo alla Vita Nuova.

Innanzitutto specifichiamo, per chi non lo sapesse, che Dante, all’età di nove anni circa, si è innamorato di Beatrice e ha iniziato a scrivere poesie dedicate alla ragazza. Nella Vita Nova il poeta mette in atto un meccanismo, a mio modesto parere geniale: in pratica seleziona ed ordina le poesie scritte nel tempo, magari mentre era in bagno o nel letto di notte quando non riusciva a dormire, creando un ordinamento tale da suggerire uno sviluppo narrativo della vicenda amorosa delle singole poesie. Adoro! Sappiate che Petrarca, nel Canzoniere, fa la stessa identica cosa: scopiazza lo sviluppo poetico e narrativo della Vita Nova e narra l’itinerario del suo amore per Laura.

L’opera dantesca è stata scritta attorno al 1293 e il 1295 ed è ritenuta un’antologia d’autore, non a caso è un prosimetro, un misto di prosa e versi. In pratica Dante sceglie le poesie da inserire nel libro e poi si occupa e preoccupa di commentarle in modo tale da tediare il meno possibile i filologi susseguenti che trovano tutto già bello e pronto. Quale meravigliosa elargizione di gentilezza!

Sia chiaro che le prose hanno altresì la funzione di esporre le circostanze autobiografiche che hanno portato alla composizione dei testi, integrando il racconto tramite episodi che si sono svolti tra i vari testi poetici, in pratica crea un’autobiografia più ideale che reale.

Certamente, essendo in primis un genio e in secundis uno studioso, l’autore riprende una sconfinata quantità di opere tra cui ricordo, più per piacere che per dovere, le Confessiones e le Retractationes di Agostino, la Consolatio Philosophiae di Boezio, i testi di Brunetto Latini, Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti. Nella Vita Nuova, però, troviamo caratteri originali rispetto ai poeti precedenti; ovviamente l’immensa importanza di Dante nella storia della letteratura ha un motivo. Nella tradizione stilnovistica sono fondamentali il tema della donna angelo che ha virtù salvifiche e il tema del saluto-salute, in quanto il saluto della donna porta la salute, nel senso latino di salus, salvezza, nell’innamorato. Per quanto riguarda Dante, però, succede che Beatrice decide di svincolarsi e togliere al poeta il saluto perché il furbacchione ha mostrato troppo interesse per altre donne. Dante, ingegnoso oltre ogni aspettativa, decide che la sua salus non è più direttamente proporzionale al saluto dell’amata, ma è legata alla lode della donna. In parole povere succede questo: Beatrice nota che Dante è preso da altre donne e decide di non salutarlo più per fargli un dispetto, Dante, dal canto suo, stabilisce che non gliene frega assolutamente nulla del saluto perché l’importante è poter elogiare la donna. Non si può certo mettere in dubbio che il nostro poeta non sappia incassare con grande stile!

La Vita Nuova contiene 31 paragrafi che possono essere divisi in due parti: i primi 18 sono in vita, ovviamente di Beatrice, i restanti in morte. Ci sono ulteriori ripartizioni, potrei scrivere un libro solo sulle sezioni dell’opera, ma mi fermo qui. Prego!

In apertura del “libello”, epiteto con cui Dante definisce l’opera, il narratore annuncia la volontà di trascrivere le parole che si trovano nei paragrafi più importanti del “libro della sua memoria”.

Vi ripropongo l’incipit: “In quella parte del libro della mia memoria dinanzi alla quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice Incipit Vita Nova”. (Vita Nuova 1.1).

In sostanza Dante si scrolla di dosso qualsiasi responsabilità e si presenta come semplice copista delle parole scritte nel libro della memoria. La narrazione parte dal primo incontro con Beatrice, all’età di nove anni, cui segue un ulteriore incontro nove anni dopo. Da notare l’importanza del numero nove, multiplo di tre per sé stesso: tre è il numero della Trinità, il nove è il numero della Trinità per sé stesso ed è legato a Beatrice che quindi risulta essere un miracolo. Lo stesso nome della donna in latino, Beatrix, contiene questo numero: BEATR-IX. Io lo amo proprio!

Vi offro una piccola digressione: anche nel Canzoniere di Petrarca è esposto in bella mostra il connubio donna amata-numero, ma, in questo caso, è il numero 6. Il 6 Aprile 1327 conosce Laura, il 6 Aprile 1348 la donna muore, il 6 è legato, inoltre, alla morte di Cristo (“Era il giorno in cui impallidendo si oscurarono i raggi del sole a causa della sofferenza patita dal suo Creatore, quando io fui catturato” [da Amore]), le stesse liriche sono 366. Tale cifra è l’altro numero fondamentale dell’opera: contiene due volte il 6, una volta il 3, la somma dei suoi fattori è 15 che sommato ancora dà nuovamente 6. Ok mi è venuto mal di testa! Procediamo con la nostra opera.

All’età di diciotto anni c’è un terzo incontro Beatrice e Dante, il quale, essendo sorprendentemente davvero poco spigliato e molto timido, dopo aver visto l’amata va a rinchiudersi nella sua stanza dove gli appare in sogno Amore che nutre la donna con il cuore del poeta. Questo passaggio è straordinariamente inquietante, ma vi ricordo che, nel Medioevo, l’amore era considerato una malattia in quanto portava alla follia ed era intrinsecamente collegato al cannibalismo, quindi ci stà! Il poeta riporta su carta questo sogno e lo invia ai maggiori esperti per averne un’interpretazione, un po’ come quando io sogno Henry Cavill che si erge, tra una massa ben distinta di quadricipiti guizzanti e gocciolanti, dalla piscina della villa che ha acquistato per me e poi vado a spulciare il libro dei sogni per capire di preciso dove devo firmare, anche con il sangue va bene, non mi scompongo! Ho giustappunto un coltellino svizzero nella borsa che può soddisfare la richiesta!

Ma basta sognare, rivolgiamo i nostri pensieri a Dante che, per convenzione, deve celare l’amore per Beatrice quindi inizia a comporre poesie per un’altra donna, definita la “donna dello schermo”. Questa, per cause di forza maggiore, è costretta ad abbandonare la città, per cui il povero amante si ritrova nella condizione di dover individuare una seconda “donna dello schermo”. Ora accade qualcosa che proprio non può essere perdonata: Dante mette uno zelo eccessivo nelle poesie dedicate a questa seconda donna e ne danneggia la reputazione, un po’ come succede a me quando voglio fare la figa sui tacchi: schiena dritta, testa in su, fondoschiena e petto in fuori, dopo soli tre passi, ecco che incontro il pavimento perfettamente levigato del bar dei sosia di Channing Tatum.

Beatrice, sdegnata da cotanto (finta) passione, gli toglie il saluto che per il poeta era fonte di felicità e ricompensa della sua devozione. Dante, poverino, sconvolto dalla cattiveria dell’amata e dai problemi di eccessiva involontaria sudorazione, tremore e simil enfasi polmonare che lo attanagliano ogni qualvolta si trova al suo cospetto decide, nuovamente, di rifugiarsi nella sua stanza ed ecco che sogna, ancora una volta, Amore. Questa apparizione è importante perché il poeta concepisce tre sonetti di “gabbo”, derisione da parte delle donne cui Beatrice si accompagna. Queste lo interrogano sul fine del suo amore che prima era il saluto dell’amata, ora invece sta nelle parole che lodano la donna. Furbacchione!

Ora c’è una piccola digressione in quanto il poeta parla del suo amico Guido Cavalcanti e della donna da lui amata, Giovanna Primavera. Forse non è fondamentale ai fini della nostra disquisizione, ma a me piace la riflessione quindi devo proprio spendere due parole riguardo un nuovo sogno in cui al poeta appaiono Beatrice e Giovanna, indicata appunto con il senhal “Primavera” in quanto paragonata a San Giovanni Battista che, nel Vangelo, precede e annuncia la venuta di Cristo, allo stesso modo la donna amata da Guido Cavalcanti anticipa Beatrice che, non dimentichiamolo, ha valore cristologico. Lo stesso termina “Primavera” si può tradurre con prima verrà, cioè verrà prima di Beatrice. È un genio, non c’è nulla da dire!

Questa prima parte contiene un annuncio importante, quello della morte del padre di Beatrice che turba in modo profondo il poeta in quanto si rende conto che anche la donna amata morirà, come tutti noi in realtà, ma evidentemente non aveva pensato a questa eventualità prima di allora! La fine di Beatrice, annunciata da una visione ovviamente, si verifica effettivamente e qui inizia il più lungo periodo di depressione della storia accompagnato da una nuova avvilente sezione del “libello” con l’incipit: «Quomodo sedet sola civitas plena populo! Facta est quasi vidua domina gentium» ripreso direttamente dalle Lamentazioni del profeta Geremia per la caduta di Gerusalemme.

Il nostro povero poeta, dopo la perdita dell’amata, vaga, tra pianti e tristezza, per la città fino a quando non viene notato da una donna gentile che ha compassione della sua depressione. Proprio lei, con i suoi sguardi di pietà, conforta Dante che quasi quasi pare voler abbandonarsi ad un nuovo amore, ma Beatrice, affatto contenta della cosa, gli appare in sogno e lo induce al pentimento. In pratica lei vuole tutto: è perfetta, è beata, se ne sta in Paradiso al calduccio cantando inni a Dio, ma vuole anche che il povero poeta non si innamori di altre e il nostro Dante torna definitivamente all’amore per lei, lasciando insoddisfatta la povera donna gentile che, con tanta pazienza aveva tentato di rincuorarlo.

Ora il cervelletto del caro Dante concepisce una delle più famose liriche del “libello” che ovviamente non manco di riportarvi perché è davvero molto, molto bella:

 

Oltre la spera che più larga gira

passa ’l sospiro ch’esce del mio core:

intelligenza nova, che l’Amore

piangendo mette in lui, pur su lo tira.

Quand’elli è giunto là dove disira,

vede una donna, che riceve onore,

e luce sì, che per lo suo splendore

lo peregrino spirito la mira.

Vedela tal, che quando ’l mi ridice,

io no lo intendo, sì parla sottile

al cor dolente, che lo fa parlare.

So io che parla di quella gentile,

però che spesso ricorda Beatrice,

sì ch’io lo ’ntendo ben, donne mie care.

(Vita Nuova, cap. XLI)

 

 

Ora potrei anche abbozzare una parafrasi della lirica, e, lo ammetto, nulla mi renderebbe più felice (come avrete notato mi accontento di poco!) ma temo di aver già esagerato a sufficienza, quindi potete leggerla direttamente dal libro o su internet, tanto Dante ha spiegato tutto.

Alla fine il poeta racconta di aver avuta una nuova visione, secondo me dovuta ad un abuso di oppiacei, in cui parla di una mirabile visione che non racconta in quanto le sue capacità linguistiche e poetiche non sono sufficienti ad esprimerla, ma si propone di non scrivere più di Beatrice fin quando non potrà farlo in maniera degna: «io spero di dire di lei quello che mai fue detto d’alcuna». Sappiate che da questo momento nasce l’intento di scrivere un’opera grandiosa, la Divina Commedia appunto, in cui la Vita Nuova troverà compimento.


CURIOSITA'

Anche questa volta, sentendomi particolarmente benevola, elargisco qualche piccola curiosità su Dante. Innanzitutto il poeta ebbe vari figli dalla moglie Gemma Donati, una di loro, Antonia, divenne suora e indovinate il nome scelto?! Beatrice! Non c'è che dire, tale padre, tale figlia! 

Quando pensiamo al poeta tutti lo immaginiamo con la tonaca rossa, ma sapete perchè? No. Bene ve lo dico io: l'abito rosso è la divisa dell'Arte degli Speziali cui Dante era iscritto per poter partecipare alla vita politica del paese. Gli speziali erano proto-farmacisti che vendevano erbe ed elisir: nell'Inferno della Divina Commedia, c'è un chiaro riferimento alle sue capacità farmaceutiche quando descrive i sintomi di varie malattie tipo la scabbia o la rabbia idrofoba, nugae insomma. 





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